Trivelle in mare, dieci cose che non sai sul referendum del 17 aprile
di Emiliano Moccia - CORRIERE DELLA SERAROMA – Trivelle in mare «sì», trivelle in mare «no». Il prossimo 17 aprile, come stabilito dal Consiglio dei Ministri lo scorso mese di febbraio, i cittadini saranno chiamati per la consultazione popolare e votare il referendum riguardante le trivellazioni in mare. Ecco in dieci punti tutto quello che c’è da sapere sul voto referendario promosso da nove consigli regionali, appoggiati da movimenti e associazioni ambientaliste.
1. Il referendum si svolgerà il 17 aprile 2016. Per risparmiare sull’allestimento dei seggi, in molti chiedevano di spostare il voto a giugno, quando in diverse città italiane si terranno le elezioni amministrative. La legge (decreto 98 del 2011) non prevede, però, che le elezioni possano svolgersi in concomitanza con un referendum. L’ultimo precedente, in tal senso, risale al 2009 e per attuare l’abbinamento fu necessaria una legge ad hoc.
2. «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?». E’ ciò che chiede il quesito referendario che riguarda, dunque, solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri).
3. In Italia il referendum è abrogativo. Di conseguenza, se vince il «sì» si andrebbe a cancellare la parte del comma 17 dell’articolo 6 del Codice dell’Ambiente che prevede la prosecuzione delle trivellazioni fino a quando il giacimento lo consente.
4. Se vince il «no», invece, tutto resterà esattamente come adesso. E quando le concessioni arriveranno a scadenza le compagnie petrolifere che svolgono le trivellazione in mare potranno chiedere un prolungamento dell’attività delle piattaforme già attive.
5. Per raggiungere il quorum necessario deve andare a votare la metà degli aventi diritto al voto più uno. Hanno diritto di voto tutti i cittadini chiamati a eleggere la Camera dei deputati.
6. Per i promotori del referendum, bloccare le concessioni allontanerebbe il rischio di incidenti che, se si verificassero, avrebbero un impatto devastante sull’ambiente. I contrari, invece, sostengono che una vittoria del «sì» potrebbe avere ripercussioni sul mercato con conseguente fuga di investimenti e possibile chiusura di imprese.
7. Il referendum per abrogare una legge (totalmente o parzialmente) può essere proposto da 500 mila elettori o da almeno cinque Consigli regionali. In questo caso, sono stati nove i Consigli regionali che hanno proposto i quesiti referendari: Basilicata (capofila), Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto.
8. Dei sei quesiti proposti dalle Regioni, ne è rimasto in piedi solo uno. Ma almeno altri due quesiti dello stesso referendum potrebbero essere riammessi agli inizi del mese di marzo dalla Corte Costituzionale che si pronuncerà nel merito.
9. Tra i favorevoli al referendum ci sono tutte le associazioni ambientaliste, che puntano su un futuro energetico alternativo. Pochi giorni fa, per esempio, gli attivisti pugliesi di Greenpeace hanno scritto«No Oil» sulla sabbia. Tra coloro che si schierano per il «no» anche il vicesindaco di Ravenna, Giannantonio Mingozzi, secondo il quale la chiusura dei giacimenti provocherebbe la perdita di migliaia di posti di lavoro.
10. L’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha inviato alle Regioni proponenti il referendum l’invito a non utilizzare mezzi e logo istituzionali per la campagna referendaria. Ma le Regioni stanno valutando il ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale
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