Dossier ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente)
Qui di seguito riportiamo un sunto dello studio effettuato dall’ISDE (Associazione Medici per l’Ambiente) sugli effetti delle emissioni in atmosfera prodotte dagli inceneritoti di rifiuti.
Ricordiamo che nel perimetro dell’isola bergamasca sono presenti due inceneritori di Alta potenzialità ( Calusco d’Adda e Filago ) e nelle zone immediatamente fuori dal perimetro altri tre inceneritori (Trezzo d’Adda, Dalmine e Valmadrera.
La cartina riporta la localizzazione dei cinque inceneritori.
Il problema dei rischi legati all’incenerimento dei rifiuti è di cruciale attualità: tale pratica sta infatti dilagando nel nostro paese grazie ad improprie incentivazioni economiche – elargite solo nel nostro paese (CIP6, certificati verdi) che distorcono gravemente l’adozione di corrette politiche di smaltimento dei rifiuti, a cominciare dalla loro riduzione, riuso, riciclo ecc.
Il Trattato dell’UE ha vietato aiuti di Stato alle imprese. Successivamente la crisi energetica ha prodotto la Direttiva 2001/77/CE, la quale ha promosso l’energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, definendo quali siano le fonti rinnovabili, e ha ammesso gli aiuti di Stato alle imprese interessate.
I rifiuti non risultano tra le fonti definite rinnovabili dalla Direttiva 2001/77/CE e da successive direttive.
Ciò nonostante l’Italia ha incluso i rifiuti tra le fonti rinnovabili, permettendo agli inceneritori che ne fanno uso per la produzione di energia elettrica di beneficiare del regime di aiuti statali (Legge n. 39/2002, art. 43; D.Lgs. n.387/2003, art. 17).
L’incenerimento dei rifiuti riduce solo il volume dei rifiuti in entrata e trasforma anche materiali relativamente inerti in ingresso in rifiuti altamente tossici e pericolosi, sotto forma di emissioni gassose, ceneri volatili, ceneri pesanti, che a loro volta richiedono costosi sistemi di inertizzazione e stoccaggio.
Vediamo nello schema rappresentato qui di seguito cosa produce un inceneritore:
Nelle popolazioni esposte alle emissioni di inquinanti provenienti da inceneritori sono stati segnalati numerosi effetti avversi sulla salute sia neoplastici che non quali: incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, diabete, ischemie, problemi comportamentali, patologie polmonari croniche aspecifiche, bronchiti, allergie, disturbi nell’infanzia, alterato rapporto maschi/femmine alla nascita.
Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro. Segnalati aumenti di cancro a: fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella.
Particolarmente significativa risulta l’associazione per: cancro al polmone, linfomi non Hodgkin, neoplasie infantili e soprattutto sarcomi. Recenti studi condotti in Francia ed in Italia hanno evidenziato inoltre conseguenze particolarmente rilevanti nel sesso femminile.
Si sottolinea e si dimostra che anche con i “nuovi” impianti nessuna valida garanzia di innocuità può essere fornita: se non altro perché trattandosi di “nuovi” impianti non esistono ovviamente indagini epidemiologiche idonee.
Questi rischi sono assolutamente ingiustificati in quanto esistono tecniche di gestione dei rifiuti, alternative alla combustione, già ampiamente sperimentate e prive di effetti nocivi.
Proseguire sulla strada dell’incenerimento non può che essere definita, come già affermò Lorenzo Tomatis già direttore della Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, “una follia” e tutto ciò rende conto della resistenza che tale prassi incontra nelle popolazioni, nella comunità scientifica e soprattutto nei medici che, con assoluta fermezza e non solo in Italia, hanno preso posizione condannando senza appello l’incenerimento.
Certamente il dato è inquietante e quel che più è preoccupante è che:
· le aziende per fare profitto utilizzano le maglie larghe della legge per poter fare il loro interesse;
· lo stato, permette in deroga alla normativa europea di poter utilizzare rifiuti solidi urbani per produrre energia;
· quando i cittadini si muovono per difendere i loro interessi scattano il braccio di ferro con l’azienda che mette sul piatto i possibili licenziamenti delle maestranze;
· sul piatto si baratta quindi la salute pubblica ed il diritto di qualcuno di continuare a fare profitto con il diritto alla salute dei cittadini che risiedono nelle aree limitrofe.
Proviamo ad immaginare di mettere sul piatto della bilancia:
il salario di 150/200 operai contro la salute di 300.000 persone che sono a rischio emissioni;
i costi sociali delle patologie invalidanti riscontrate.
A questo punto ci chiediamo
IL GIOCO VALE LA CANDELA??
Se vuoi continuare a leggere il dossier Ispra ed a farti un idea dei rischi che si corrrono leggi fino in fondo il resto dell’articolo.
Inquinanti emessi da inceneritori
Gli impianti di incenerimento rientrano fra le industrie insalubri di classe I in base all’articolo 216 del testo unico delle Leggi sanitarie (G.U. n. 220 del 20/09/1994) e qualunque sia la tipologia adottata (a griglia, a letto fluido, a tamburo rotante) e qualunque sia il materiale destinato alla combustione (rifiuti urbani, tossici, ospedalieri, industriali, ecc) danno origine a diverse migliaia di sostanze inquinanti, di cui solo il 10-20% è stato identificato; già nel 1995 era stato pubblicato un lavoro in cui si prendevano in considerazione i soli composti organici volativi (COV) emessi da questi impianti e solo di questa famiglia di inquinanti venivano identificate centinaia e centinaia di molecole[1]. Del resto basta pensare che con la combustione di una sigaretta si formano circa 1200 diverse molecole di cui un centinaio sono cancerogeni certi per l’uomo. Ricordiamo che la legge prevede controlli solo per alcuni di essi, per poche volte all’anno, in regime di autocotrollo del gestore; per le diossine ad es. i controlli sono previsti per 3 volte all’anno con una durata di 8 ore, 24 ore su 8000 ore di funzionamento.
La formazione degli inquinanti da parte di questi impianti dipende, oltre che dal materiale combusto, dalla composizione casuale dei materiali nei forni, dalle temperature di combustione e soprattutto dalle variazioni delle temperature stesse che si realizzano nei diversi comparti degli impianti, come è stato descritto anche recentemente[2]: gli inceneritori sono in buona sostanza una impianto chimico che genera anche nuovi composti. Fra gli inquinanti emessi dagli inceneritori possiamo distinguere le seguenti grandi categorie: Particolato – inalabile (PM10), fine (PM2.5) ed ultrafine (inferiore a 0.1 µm) – metalli pesanti, diossine, composti organici volatili, ossidi di azoto ed ozono. Per quanto attiene il particolato le conseguenze che esso esercita sulla salute umana sono ormai universalmente riconosciute[3]–[4] ed è parimenti assodato che esse sono tanto più gravi quanto più le particelle sono di piccolo diametro: si pensi che l’UE valuta che siano ben 370.000 le morti causate ogni anno in Europa dal particolato fine (PM 2,5)[5]. Gli inceneritori, a differenza di quanto si lascia comunemente intendere, sono una fonte non trascurabile di particolato: uno studio condotto in Svezia ha valutato che dal 17% al 32% del particolato PM 2.5 provenga dagli inceneritori[6] ed una ricerca del 2007, condotta a Parigi, ha evidenziato che gli inceneritori sono una delle maggiori fonti di produzione di PM 2.5, unitamente a traffico veicolare e riscaldamento[7]. L’attenzione dei ricercatori è tuttavia sempre più rivolta a valutare il rischio rappresentato dal particolato ultrafine, quello cioè con dimensioni inferiori a 0.1 µm[8]. Grazie a queste dimensioni, simili a quelle dei virus, questo tipo di particelle è in grado di superare la parete degli alveoli alveolari, entrare nel circolo sanguigno e quindi, attraverso il sangue, giungere in ogni distretto dell’organismo. Si può stimare che, in un giorno, meno di un alveolo polmonare su mille entrerà in contatto con particelle PM10, mentre un singolo alveolo entrerà in contatto con centinaia e centinaia di particelle PM 0.1 µm. I danni che ne conseguono sono rappresentati da stress ossidativi, stato di infiammazione generalizzato, aumentata della viscosità del sangue, alterazione delle più delicate funzioni cellulari che giungono a danneggiare direttamente lo stesso menoma[9]–[10]. Si stanno inoltre accumulando evidenze che particelle di queste dimensioni possano arrivare direttamente, attraverso il nervo olfattivo, ai lobi frontali e che patologie neurodegenerative in drammatico aumento quali Parkinson ed Alzheimer possano riconoscere una genesi di questo tipo[11]–[12]. Per quanto riguarda gli altri inquinanti si tratta in molti casi di sostanze estremamente tossiche, persistenti, bioaccumulabili; in particolare si riscontrano: Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nichel, Benzene,Piombo, Diossine, Dibenzofurani, Policlorobifenili, Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), ecc. Un recente Report dell’OMS, svoltosi a Roma nel 2007 e dedicato alle ricadute sulla salute umana degli inceneritori riconosce ad esempio che: “l’aumento in molti Paesi della prassi dell’incenerimento comporterà un non trascurabile aumento nella produzione di gas serra e di persistenti inquinanti tossici su scala globale”[13]. Le conseguenze che ciascuno di questi agenti tossici a dosi anche estremamente basse e studiato singolarmente esercita sulla salute umana sono documentate da una vastissima letteratura; tuttavia tali effetti possono essere diversi e ben più gravi sia in relazione alla mescolanza che si realizza fra i diversi inquinanti nella esposizione reale, sia in relazione alla predisposizione individuale e soprattutto a seconda del momento in cui avviene l’esposizione stessa: è ovvio che gli organismi in accrescimento, i feti, i neonati, le donne in gravidanza ed allattamento sono estremamente più sensibili. A questo proposito sta sempre più emergendo nella letteratura scientifica che l’esposizione durante la vita fetale e neonatale condiziona lo stato di salute che l’individuo avrà nella vita adulta[14]–[15]. Fra i metalli pesanti emessi da inceneritori troviamo Arsenico, Berillio, Cadmio, Cromo, Nickel, che sono stati riconosciuti dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) a livello 1 (ovvero cancerogeni certi per l’uomo) per polmone, vescica, rene, colon, prostata; Mercurio e Piombo, classificati con minor evidenza dalla IARC (livello 2B), esplicano comunque gravi danni, soprattutto a livello neurologico e cerebrale, con difficoltà dell’apprendimento, riduzione del quoziente intellettivo (QI), iperattività. Per quanto riguarda le diossine gli inceneritori risultano essere la prima fonte di emissione in Italia[16]. La tossicità di queste molecole è elevatissima e si misura in picogrammi (miliardesimi di milligrammo). Si tratta di sostanze liposolubili e persistenti (tempi di dimezzamento 7-10 anni nel tessuto adiposo, da 25 a 100 anni sotto il suolo) assunte per il 95% tramite la catena alimentare (carne, pesce, latte, latticini), compreso il latte materno, che rappresenta il veicolo in cui esse maggiormente si concentrano. La capostipite di queste sostanze, con la maggiore tossicità e la più tristemente nota è la TCDD (2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-dioxin) o “diossina di Seveso”, riconosciuta nel 1997, a 20 anni da quel disastro, come cancerogeno certo per l’uomo ad azione multiorgano (livello I IARC)[17]. Ad essa sono correlati in particolare linfomi, sarcomi, tumori dell’apparato digerente, del fegato, delle vie biliari, del polmone, della tiroide, della mammella e della prostata[18]. Esistono comunque altri 126 congeneri (molecole similari), di cui 27 hanno una sicura tossicità per l’uomo. Le diossina ed molti dei suoi congeneri sono “endocrin disruptors” o “disturbatori endocrini”, così definiti per i complessi effetti esercitati sulla salute umana, in particolare sono associati a queste molecole danni all’apparato ormonale (diabete, disfunzioni tiroidee), a quello riproduttivo (endometriosi, infertilità, disordini alla pubertà), al sistema immunitario, nonché alterazioni dello sviluppo neuropsichico e del sistema cardiocircolatorio[19]–[20]. Inquietante appare inoltre la segnalazione che i danni indotti da queste molecole possano essere di tipo transgenerazionale, ovvero possano manifestarsi nelle generazioni successive in assenza quindi di una loro diretta esposizione, ma attraverso modificazioni trasmesse dalle cellule germinali (cellula uovo e spermatozoi)[21]. Gli inquinanti emessi dagli inceneritori esplicano i loro effetti nocivi sulla salute o perché vengono inalati, o per contatto cutaneo, o perché, ricadendo, inquinano il territorio e quindi i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia contaminando la catena alimentare. Questo è il caso in particolare delle diossine. Non a caso, il Decreto Legislativo 228 del 18/05/2000 stabilisce che non sono idonee ad ospitare inceneritori le zone agricole caratterizzate per qualità e tipicità dei prodotti. In diversi paesi europei ( Olanda, Spagna, Belgio, Francia) sono state segnalate contaminazioni da diossine, specie di latte e suoi derivati, in aziende agricole poste in prossimità di tali impianti. Del tutto recentemente anche in Italia si sono registrate contaminazioni in allevamenti siti in prossimità di impianti di incenerimento: basti ricordare quanto verificatosi nel dicembre 2007 a Brescia, ove in numerose allevamenti si è dovuto distruggere il latte bovino per eccessi di diossine e PCB dioxin-like, (valori che sono rientrati a norma quando non sono più stati utilizzati foraggi coltivati in loco). Si possono anche ricordare recenti, ed analoghi casi di contaminazione di prodotti alimentari, a Maglie in Puglia, o a Montale in Toscana. Non va dimenticato inoltre che gli alimenti eventualmente contaminati possono essere distribuiti e consumati altrove, per cui la popolazione esposta può essere ovviamente molto più numerosa. La stima dell’esposizione di fondo (TCDD e similari) nei Paesi dell’Unione Europea è compresa fra 1,2-3.0 pg/WHO TEQ/kg pro capite; tali limiti sono già ampiamente superati in diverse realtà e, se pensiamo che l’UE raccomanda come dose massima tollerabile 2pg/TEQ/kg/giorno , è ovvio che qualsivoglia ulteriore esposizione porterebbe facilmente la soglia raccomandata dalla stessa Unione Europea raccomanda.
Inceneritori e Salute Umana
La letteratura medica segnala circa un centinaio di lavori scientifici a testimonianza dell’interesse che l’argomento riveste. Fra questi, diverse decine sono costituiti da studi epidemiologici condotti per indagare lo stato di salute delle popolazioni residenti intorno a tali impianti e/o dei lavoratori addetti e, nonostante le diverse metodologie di studio applicate ed i numerosi fattori confondenti, sono segnalati numerosi effetti avversi sulla salute, sia neoplastici che non. Una revisione del 2003, commissionata dal Dipartimento dell’Ambiente e dal Governo Irlandese ed effettuata dall’Health Research Board, ha concluso che: “Vi è qualche evidenza che l’incenerimento può essere associato con patologie respiratorie e che sintomi respiratori acuti e cronici sono associati con emissioni da inceneritori”[22]. Questo lavoro ha inoltre confermato che studi ben ideati hanno evidenziato la relazione fra sviluppo di alcuni tipi di cancro e prossimità ad impianti di incenerimento; fra i principali tumori identificati sono compresi tumori al fegato, alla laringe sarcomi ai tessuti molli e cancro al polmone. Questo rapporto è accompagnato anche da una lettera alla commissione dell’UE in cui si fa afferma che: “l’incenerimento non è la soluzione del problema dei rifiuti … esso riduce solo il loro volume, ma l’impatto sull’ambiente è significativo”. Una successiva accurata revisione è stata eseguita in Italia ed è stata pubblicata nel 2004 negli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, in cui sono stati presi in considerazione 46 studi condotti con particolare rigore e si sono riscontrato rischi statisticamente significativi in due terzi degli studi che hanno preso in considerazione mortalità, incidenza, prevalenza di tumori[23]. Gli effetti non neoplastici più segnalati sono ascrivibili soprattutto agli effetti di diossine (e più in generale degli endocrin disruptor) ed all’emissione di particolato e ossidi di azoto. Sono stati descritti: alterazione nel metabolismo degli estrogeni[24], incremento dei nati femmine e parti gemellari[25]–[26], incremento di malformazioni congenite[27]–[28], ipofunzione tiroidea, disturbi nella pubertà[29] ed anche diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie. Un ampio studio[30] condotto in Giappone ha analizzato lo stato di salute di 450.807 bambini da 6 a 12 anni della prefettura di Osaka – ove sono attivi 37 impianti di incenerimento per rifiuti solidi urbani (RSU) – ed ha evidenziato una relazione statisticamente significativa fra vicinanza della scuola all’impianto di incenerimento e sintomi quali: difficoltà di respiro, mal di testa, disturbi di stomaco, stanchezza. Ancor più numerose e statisticamente significative sono le evidenze per quanto riguarda il cancro: segnalati aumenti di cancro al fegato, laringe, stomaco, colon-retto, vescica, rene, mammella. Particolarmente significativa risulta l’associazione con cancro al polmone[31]–[32], linfomi non Hodgkin[33]–[34]–[35]–[36]–[37], neoplasie infantili[38]–[39]–[40]–[41] e soprattutto sarcomi, patologia ormai considerata “sentinella” dell’inquinamento da inceneritori[42]–[43]–[44]–[45]. Le neoplasie che più appaiono correlate all’esposizione ad inquinanti emessi da inceneritori sono i linfomi non Hodgkin (LNH), i tumori polmonari, le neoplasie infantili ed i sarcomi e questi saranno pertanto analizzati più in dettaglio. Linfomi Non Hodgkin Si tratta di patologie di cui si è registrato un preoccupante aumento sia di incidenza che di mortalità nonostante i grandi progressi registrati dal punto di vista terapeutico. Per quanto attiene la relazione fra i linfomi NH, alcuni degli studi più recenti che hanno evidenziato tale relazione sono: o lo studio condotto a Besancon in cui è risultato un rischio relativo (RR) di incidenza di LNH pari a 2,3 nella popolazione residente in prossimità di impianto di incenerimento per rifiuti ed il cui impatto ambientale è stato anche di recente riconsiderato o alcuni studi condotti in Toscana che hanno evidenziato eccessi di mortalità in conseguenza dell’inquinamento da diossine per la presenza di inceneritori. Questi risultati sono poi stati confermati in un’analisi condotta su 25 comuni d’Italia ove sono attivi impianti di incenerimento: da essa emerge un eccesso di mortalità in media dell’8% nel sesso maschile. – Neoplasie polmonari Per quanto attiene le neoplasie polmonari il rischio rappresentato dall’inquinamento ambientale ormai fuori dubbio; esso risulta in particolare correlato all’esposizione a metalli pesanti ed al particolato ultrafine: per quest’ultimo si calcola che per ogni incremento di 10 microgrammi/m3 si abbia un incremento del 14% di mortalità per cancro al polmone[46]–[47]. Per quanto attiene il Rischio Relativo di mortalità per neoplasie polmonari in persone residenti in prossimità di impianti o in personale addetto, esso è risultato variabile da 2 a 6.7. – Neoplasie Infantili La relazione fra cancro nell’infanzia, inceneritori ed altri grandi impianti è stata ben indagata dagli studi condotti in Gran Bretagna dal Prof E.G. Knox: in prossimità di impianti di incenerimento si segnala infatti un raddoppio della mortalità per tutti i tipi di neoplasie infantili (Rischio Relativo variabile da 2 a 2,2), specie se l’esposizione era avvenuta nell’epoca prenatale. Del tutto recentemente questo ricercatore ha confermato che le neoplasie insorte nell’infanzia sono correlate con esposizione a cancerogeni atmosferici noti quali quelli provenienti da combustioni industriali, Composti Organici Volatili (VOCs), composti esausti del petrolio e da altri agenti quali 1-3 butadiene, diossine e benzopirene. Il rischio è risultato statisticamente significativo per i bambini con indirizzo alla nascita entro 1 km dalla fonte di emissione. Importa qui far notare che si sta registrando un costante aumento delle neoplasie infantili, fonte di grande preoccupazione: secondo dati riportati sulla rivista medica Lancet infatti i tumori infantili sono aumentati in Europa negli ultimi trenta anni di circa l’1.2% per anno da 0 a 12 anni e dell’ 1.5% dai 12 ai 19 anni[48]. Purtroppo nel nostro Paese la situazione è ancora più allarmante e siamo al primo posto in Europa per incidenza di cancro nell’infanzia. Secondo i dati riferiti agli anni 1998-2002 e pubblicati nel 2008[49] i tassi di incidenza per tutti i tumori nel loro complesso sono mediamente aumentati nel nostro Paese del 2% all’anno, passando da 146.9 nuovi casi all’anno (ogni milione di bambini) nel periodo 1988-92 a 176 nuovi malati nel periodo 19982002. Ciò significa che in media, nell’ultimo quinquennio, per ogni milione di bambini in Italia ci sono stati 30 nuovi casi in più rispetto alla media europea. La crescita è statisticamente significativa per tutti i gruppi di età e per entrambi i sessi. In particolare nei primi 12 mesi di vita l’incremento è addirittura del 3.2% annuo. Tali tassi di incidenza in Italia sono nettamente più elevati di quelli riscontrati in Germania (141 casi 1987-2004), Francia (138 casi 1990-98), Svizzera (141 casi 1995-2004). Il cambiamento percentuale annuo risulta più alto nel nostro Paese che in Europa sia per tutti i tumori (+2% vs 1.1%), che per la maggior parte delle principali tipologie di tumore; addirittura per i linfomi l’incremento è del 4.6% annuo vs un incremento in Europa dello 0.9%, per le leucemie dell’1.6% vs un + 0.6% e così via. Questo dato può essere spiegato con la presenza sempre maggior nell’ambiente di agenti tossici ed inquinanti, che passano dalla madre al feto già durante la gravidanza con un processo noto come cancerogenesi trans-placentare. – Sarcomi dei Tessuti Molli (STM) Da numerose segnalazioni proprio i sarcomi vengono ritenuti patologie “sentinella” del multiforme inquinamento prodotto da impianti di incenerimento e sono stati correlati in particolare all’esposizione a diossine. Fra questi ricordiamo: o l’indagine condotta a Besancòn (Francia) in prossimità di un impianto con emissione di elevati livelli di diossine, che ha riscontrato un aumento di rischio di incidenza di sarcomi del +44% (42) o lo studio condotto a Mantova, in prossimità di un inceneritore per rifiuti industriali che ha evidenziato un Odds Ratio, di incidenza di sarcoma dei tessuti molli nei residenti entro 2 km dall’ impianto pari a 31.4 (43) o lo studio condotto in provincia di Venezia: gli impianti presi in considerazione sono stati 33 (tra inceneritori di rifiuti urbani, industriali e ospedalieri ed altre fonti emissive di diossine di origine industriale), in un territorio di circa 1/3 della provincia di Venezia con oltre 420 000 abitanti. Lo studio ha riguardato 186 casi e 588 controlli; è stata ricostruita la storia abitativa dei soggetti a partire dal 1960, così come è stata ricostruita la storia emissiva degli impianti e stimato l’inquinamento da diossine prodotto con un modello di dispersione sviluppato dall’US EPA. I risultati dello studio evidenziano un OR (statisticamente significativo) di 3.3 (entrambi i sessi) per i soggetti con più lungo periodo e più alto livello di esposizione e mostrano inoltre come il massimo rischio sia correlato, in ordine decrescente, alle emissioni provenienti rispettivamente da rifiuti urbani, ospedalieri ed industriali. L’analisi suddivisa per genere dà origine a risultati significativi per il più alto livello di esposizione (OR = 2,41 IC=1.04-5.59) per le femmine, ma non significativi per i maschi (OR=1.86 IC=0.87-3.95).I risultati di questo studio sono particolarmente importanti perché risultano da un’analisi assolutamente rigorosa per quanto riguarda la stima delle emissioni, la ricostruzione della storia abitativa, la validazione dei casi e la loro revisione diagnostica (44) o Il dato dell’aumento di rischio per STS nella popolazione femminile (SIR = 1,69, stat. sign.) per esposizione a emissioni di diossina risulta anche in un altro studio di tipo geografico condotto sempre in provincia di Venezia (45), che ha utilizzato i dati provenienti dagli archivi elettronici di anatomia patologica anziché quelli provenienti dai registri tumori dello studio prima citato. Negli ultimi due anni poi, a questi studi che avevano riguardato per lo più singole e specifiche neoplasie, se ne sono aggiunti altri due che, viceversa, hanno preso in esame un maggior numero di patologie, riuscendo a dare quindi un quadro più realistico delle effettive ricadute sulla salute, uno di questi studi è stato condotto in Francia e l’ altro in Italia e, ritenendoli di particolare interesse, ne verranno sinteticamente esposti i risultati. Studio de La Veille Sanitarie (Francia) Si tratta di una indagine particolarmente importante per estensione e robustezza di impianto, che ha posto in relazione l’esposizione ad emissioni di inceneritori con numerose patologie tumorali. Lo studio condotto in Francia[50] da La Veille Sanitarie – un’Istituzione pubblica analoga al nostro ISS – che ha preso in considerazione 135.567 casi di cancro insorti nel periodo 1990-1999 nelle popolazioni residenti nell’area di ricaduta degli inquinanti emessi da 16 inceneritori di rifiuti urbani attivi tra il 1972 ed il 1990. Lo studio, del tipo geografico-ecologico, ha considerato l’esposizione a diossine – scelte come indicatore dell’inquinamento complessivo prodotto dagli inceneritori – che è stata stimata sulla base delle caratteristiche specifiche degli impianti ed elaborata per mezzo di un modello matematico di dispersione atmosferica. L’esposizione è stata suddivisa in diversi percentili, ed i risultati sono stati espressi sotto forma di rischi relativi confrontando il rischio di incidenza nelle aree fortemente esposte (90° percentile) con quello delle aree a minore esposizione (2,5° percentile). Le patologie tumorali prese in considerazione sono state quelle per le quali precedenti studi avevano dimostrato o evidenziato associazione positiva con l’esposizione ad emissioni da inceneritore.
I risultati, aggiornati al marzo 2008, presentano per la quasi totalità delle patologie tumorali considerate RR>1. Gli incrementi di rischio risultati statisticamente significativi riguardano: – tutti i cancri nelle donne +6%, – linfomi non Hodgkin +12% in entrambi i sessi +18% nelle femmine, – mieloma multiplo +23% nei maschi – mammella +9% nelle femmine Inoltre, molto prossimi alla soglia di significatività statistica sono risultati gli incrementi per – sarcomi +22% – cancro al fegato +16% – mielomi multipli +16% in entrambi i sessi Studio Enhance Health di Coriano (Italia) Risultati altrettanto preoccupanti sono quelli che emergono dallo studio condotto nel quartiere di Coriano a Forli, nell’ ambito dello studio Enhance Health, finanziato dall’ UE[51]. A Coriano sono attivi due impianti: uno per rifiuti ospedalieri ed uno per rifiuti solidi urbani. L’indagine è stata condotta con metodo Informativo Geografico (GIS) ed ha riguardato l’esposizione, secondo 4 livelli crescenti, a metalli pesanti (stimata con un modello matematico) della popolazione residente per almeno 5 anni entro un’area di raggio di 3.5 km dagli impianti. Sono stati analizzati dati di mortalità (per tutte le cause e per singole cause, per tutti i tumori e per singole neoplasie), di incidenza per i tumori ed i ricoveri ospedalieri per singole cause. Il confronto è stato fatto prendendo come popolazione di riferimento quella esposta al minor livello stimato di ricaduta di metalli pesanti. Come nello studio francese prima descritto emergono i risultati particolarmente inquietanti per il sesso femminile, giustificati dagli autori per il fatto che la popolazione femminile è più stanziale rispetto a quella maschile e quindi rimane più lungamente esposta alle emissioni degli inceneritori. Gli effetti sulla salute riguardano rischi statisticamente significativi – sia per patologie tumorali che non, fra queste ultime di rilevo un aumento nel 3° livello di esposizione di oltre il 200% di ricoveri per patologie renali (RR = 3.06) e del 44% per abortività spontanea (RR = 1.44). Ancor più drammatici gli eccessi (molti statisticamente significativi) sia nella mortalità complessiva che nella mortalità per tumori. Nello specifico risulta nelle donne sia un aumento del rischio di morte per tutte le cause, correlato alla esposizione a metalli pesanti tra il +7% e il +17% sia un aumento nella mortalità per tumori. Quest’ultima aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal +17% al +26% al +54%. In particolare si registrano aumenti per il cancro a colon-retto, stomaco, mammella. Si può stimare che siano ben 116 i decessi in più fra le donne oltre l’atteso e che, di questi circa 70 siano avvenuti per cancro. Questa stima appare particolarmente drammatica perché si basa su un ampio numero di casi (358 decessi per cancro tra le donne esposte e 166 tra le “non” esposte) osservati solo nel periodo 1990-2003 e solo tra le donne residenti per almeno 5 anni nell’area inquinata. Tali risultati potrebbero essere ancora di ancora maggior rilievo, qualora la popolazione di riferimento fosse realmente non esposta: infatti il livello minimo di esposizione, preso come riferimento, corrisponde ad una ricaduta stimata dei metalli pesanti compresa tra 0,61 e 1.9 ng/m3, valore certo non nullo né trascurabile. Le sintetiche “Conclusioni” di tale corposo studio appaiono davvero singolari, in quanto a fronte di risultati così drammatici si afferma: “… lo studio epidemiologico dell’area di CF nell’analisi dell’intera coorte per livelli di esposizione ambientale potenzialmente attribuibili agli impianti di incenerimento (tracciante metalli pesanti) con aggiustamento per livello socio-economico della popolazione, non mostra eccessi di mortalità generale e di incidenza di tutti i tumori. Tuttavia, analizzando le singole cause, sono stati riscontrati alcuni eccessi di mortalità e incidenza da considerare con maggior attenzione. Infatti è stato riscontrato nelle donne un eccesso di mortalità per tumori dello stomaco, colon retto mammella e tutti i tumori”. E’ palese che ponendo come prima frase un commento in cui si aggrega insieme il sesso maschile (in cui non si registrano particolari eccessi) ed il sesso femminile si ottiene una “diluizione” dei risultati emersi e una sottostima di quelle che sono le reali condizioni di salute della popolazione esaminata.
Ed i “nuovi” impianti di incenerimento?
E’ tema ricorrente in ambito sanitario oltre che sulla stampa che con i “nuovi impianti” di incenerimento i rischi per la salute sarebbero, se non nulli, quanto meno estremamente ridotti. Ad esempio in un recente documento della Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE)[52] si trova scritto: “gli impianti di vecchia generazione hanno certamente comportato l’esposizione ambientale della popolazione residente a livelli elevati di sostanze tossiche. [……] Studi metodologicamente robusti e difficilmente contestabili hanno messo in evidenza eccessi di tumori riconducibili all’esposizione a diossine”. Viceversa, i moderni inceneritori non dovrebbero comportare rischi in quanto: “le concentrazioni di molte sostanze tossiche sono notevolmente ridotte … […]. A causa del poco tempo trascorso dall’introduzione delle nuove tecnologie d’incenerimento e a causa delle difficoltà di condurre studi di dimensioni sufficientemente grandi da rilevare eventuali effetti delle nuove concentrazioni dei tossici emessi, non sono ad oggi disponibili evidenze chiare di rischio legato agli impianti di nuova costruzione”. Secondo i fautori di tale tesi quindi da un lato si riconosce l’indiscussa pericolosità dei vecchi impianti, dall’altro si confida che i “nuovi inceneritori” non dovrebbero destare particolare allarme; e tutto ciò è stato oggetto di vivace dibattito in ambito scientifico[53]. Tuttavia, coloro che sostengono la presunta innocuità dei nuovi impianti – non potendo portare dati epidemiologici in grado di supportare scientificamente tali affermazioni in quanto non è ancora trascorso un tempo sufficientemente lungo – giustificano le loro asserzioni su due principali caposaldi: i “nuovi limiti” più restrittivi alle emissioni ed il fatto che i “moderni” inceneritori applicano le migliori tecnologie disponibili, dette BAT (Best Available Tecnology) che ridurrebbero a livelli trascurabili le emissioni inquinanti. A proposito dei limiti normativi si fa notare che essi non sono affatto più restrittivi come parrebbe, ad es., nel succitato documento dell’AIE, gli estensori sono incorsi in un grossolano fraintendimento. Il confronto, esplicitamente citato nel documento, fra il valore di 4.000 ng/m3 per le diossine della vecchia normativa e gli 0.1 ng/m3 dell’attuale risulta palesemente errato in quanto il primo valore si riferisce alle diossine totali, mentre il secondo è riferito al valore “ponderato” come “tossicità equivalente” (TE) che riduce anche di 4 ordini di grandezza il valore grezzo della diossina, (per esempio per le OCDD e per gli OCDF) prendendo in considerazione solo le 17 specie “tossiche”. Risulta pertanto evidente che la vigente normativa non differisce in modo significativo dalla precedente ed anzi, nel caso di alcuni profili emissivi addirittura meno restrittiva. I campionamenti inoltre per alcuni inquinanti quali le diossine sono previsti solo poche volte all’anno e per la massima parte in regime di autocontrollo. Per quanto attiene poi l’applicazione delle BAT rimangono tuttora aperti numerosi aspetti critici, legati alle caratteristiche dei sistemi di abbattimento, alla composizione dei rifiuti ammessi all’inceneritore, al controllo delle fasi critiche di accensione e spegnimento durante le quali i processi di combustione – e di conseguenza le emissioni – sono difficilmente controllabili, si pensi che in ogni fase di accensione e spegnimento si genera in 48 ore il 60% del totale della diossina prodotta in un anno di funzionamento a regime di legge[54] e che queste emissioni non sono conteggiate dalla normativa esistente nelle valutazioni previste per questi impianti. Non si deve trascurare poi il fatto che la taglia assai maggiore dei nuovi impianti rispetto ai precedenti si tradurrà in una maggiore massa di inquinanti immessi in atmosfera. Infine non va dimenticato che una maggiore efficacia dei sistemi di abbattimento delle immissioni in atmosfera determina il trasferimento degli inquinanti (in particolare i più pericolosi e persistenti) dai fumi ai rifiuti prodotti dall’incenerimento e quindi una ridislocazione nel tempo e nello spazio dell’impatto sanitario e ambientale. Infatti anche gli inceneritori cosiddetti di “ultima generazione” hanno la necessità di discariche di servizio, in ragione del 20-30% della massa dei rifiuti in ingresso a cui si aggiunge un ulteriore 3-5% di rifiuti altamente pericolosi, costituito dalle ceneri volanti e dai residui degli impianti di abbattimento. Di recente è inoltre emerso che la quantità – assolutamente non trascurabile – di diossine presenti nelle ceneri degli inceneritori non rientra in alcun bilancio ambientale[55]. Infine una delle problematiche emergenti e più inquietanti poste dagli impianti di nuova generazione e correlata alle temperature più elevate di esercizio, è la formazione di ingentissime quantità di particolato fine (diametro aerodinamico compreso tra 0,1 e 2,5 µm) e soprattutto ultrafine (diametro aerodinamico compreso tra 0,01 e 0,1 µm), tanto primario (quello che viene emesso come tale dalla sorgente) quanto secondario (quello che si origina da una serie di reazioni chimiche e fisiche in atmosfera) in proporzioni ben superiori a quelle dei precedenti inceneritori. Nei confronti di questo tipo di particolato, anche le più recenti e migliori tecnologie si rivelano inefficaci, essendo in grado, nel migliore dei casi, di trattenere solo una parte della frazione fine, mentre sono del tutto impotenti nei confronti di quella ultrafine che, è viceversa la più pericolosa, in quanto, come già in precedenza riportato, è in grado di passare attraverso gli alveoli polmonari ed entrare nel circolo ematico, raggiungendo così tutti i distretti dell’organismo. La pericolosità del particolato ultrafine è legata non tanto alla composizione chimica ma alla loro dimensione ed uno dei più grandi studiosi a livello mondiale di questo argomento è il Prof. Vyvyan Howard, componente del Royal College of Phatologist, che anche recentemente, nel giugno 2009, ha pubblicato un documento in cui affronta in dettagliato i rischi connessi con la formazione di particolato ultrafine che si determina con l’attività dell’ inceneritore di Ringaskiddy, in Irlanda[56].
Informazione: Problema cruciale
Lo studio di Coriano, sopra citato, rappresenta un tipico esempio di comunicazione ambigua e distorta, in cui il messaggio finale appare falsamente rassicurante e fornisce ai decisori politici l’avvallo per scelte spesso già prese in partenza. Il Prof. Lorenzo Tomatis che faceva parte del comitato scientifico dello studio, si dissociò da tali conclusioni affermando: “lo studio è di tutto rispetto, ma le conclusioni che gli Enti promotori hanno tratto sono ambigue e contraddittorie allo stesso tempo”. Lo studio di Coriano non è purtroppo il solo esempio di comunicazione mistificata ed è noto da tempo come conflitti di interesse possano condizionare le conclusioni tratte nella ricerca scientifica e biomedica[57]. Sempre a proposito di rifiuti vale comunque la pena riportare qualche altro esempio. Sul sito istituzionale[58] del Governo italiano è possibile accedere ad un Piano di intervento operativo sulla salute per l’emergenza rifiuti in Campania redatto, nel maggio 2008, dal Ministero del Welfare ed alla cui redazione hanno dato la loro collaborazione l’Istituto Superiore di Sanità, la Regione Campania e l’Ordine dei Medici di Napoli. Il piano prevede, tra l’altro, “la corretta informazione al pubblico su eventuali rischi per la salute derivanti dall’accumulo dei rifiuti e del loro smaltimento” e, riferendosi agli impianti di incenerimento, fornisce questo messaggio: “Gli impianti di incenerimento e termovalorizzazione (quale quello che entrerà in funzione ad Acerra) sono costruiti secondo le moderne tecnologie e non rappresentano un rischio aggiuntivo per la salute delle popolazioni residenti nelle aree circostanti. Il loro impatto ambientale è paragonabile a quello conseguente a normali situazioni di traffico urbano”. E’ davvero stupefacente che il traffico urbano venga, a seconda di ciò che torna più utile, ora indicato come fonte precipua dell’inquinamento ora, come in questo caso, di non particolare rilievo, al fine di sminuire l’impatto dell’inceneritore (“normale traffico urbano”). Inoltre questa affermazione è quantomeno assai imprecisa se si osservano i dati relativi ad alcuni inquinanti, quali, ad esempio, le diossine. Dai documenti ufficiali Europei risultano i seguenti dati per l’Italia: 295,5 gr/anno di diossine in tossicità equivalente (TE) prodotte dagli impianti di incenerimento (pari al 64% del totale), e di questi 170,6 gr/anno (pari al 37% del totale) prodotti dai soli impianti di incenerimento per rifiuti urbani presenti in Italia (circa 50), a fronte di 5,1 gr/anno (pari all’ 1,1%) prodotti dai trasporti stradali (oltre 30 milioni di autovetture, senza tener conto degli altri autoveicoli): ogni commento appare superfluo. Si consideri che 295,5 grammi di diossine in TE equivalgono a quasi 3 miliardi di dosi massime tollerabili annue per adulti ed ad oltre 11 miliardi di dosi massime tollerabili annue per bambini, tenendo conto delle soglie fissate dall’OMS nel 1998 (il dato è, con buona probabilità sottostimato, in quanto il calcolo della tossicità equivalente dell’OMS è più cautelativo rispetto a quello previsto per le emissioni dalla vigente normativa comunitaria). Un altro esempio di comunicazione mistificata è presente nel “Quaderno di ingegneria ambientale n°45 CIPA Editore” dal titolo: “Il recupero di energia da rifiuti: la pratica, le implicazioni ambientali e l’impatto sanitario – Veronesi U, Giugliano M. Grasso M e Foà V”[59]. Con grande stupore, abbiamo constatato che in esso sono stati letteralmente stravolti risultati di lavori scientifici ed epidemiologici in modo da assolvere gli impianti di incenerimento, con buona pace dell’onestà intellettuale e del rigore scientifico: qualche esempio chiarirà meglio la questione. Nel suddetto testo nel capitolo “L’impatto sanitario” a firma di Vito Foà, a pag 54-55, vengono presi in esame quattro studi: quello di Franchini M. e altri, pubblicato sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2004; quello di P. Elliot del 1996[60], quello di Hu S.W.[61] e infine lo studio denominato Enhance Health. Di tutti viene fatto un utilizzo inappropriato, ma in particolare lo studio di P. Elliott, pubblicato nel British Medical Journal, viene capovolto nel suo significato: viene infatti aggiunta una negazione alla frase in cui si afferma che il rischio per diversi tipi di cancro diminuisce via via che ci si allontana dalla fonte emissiva. Vito Foà scrive infatti: “La conclusione degli Autori è che non è stata trovata alcuna evidenza di diversità d’incidenza e mortalità per cancro nei chilometri di raggio studiati ed in particolare nessun declino con la distanza dall’inceneritore per tutti i tumori: stomaco, colon-retto e polmone oltre che per linfoma di Hodgkin e sarcomi dei tessuti molli”. Peccato che nell’originale sia scritto: “Observed-expected ratios were tested for decline in risk with distance up to 7.5 km…. Over the two stages of the study was a statistically significant (P<0.05) decline in risk with distance from incinerators for all cancers combined, stomach, colorectal, liver and lung cancer”. Ovvero: “I rapporti osservati-attesi furono verificati in base al declino del rischio con la distanza fino a 7.5 km.… Dopo i due stadi dello studio c’era un declino statisticamente significativo (p<0,05) nel rischio con la distanza dagli inceneritori per tutti i cancri riuniti, stomaco, colon retto, fegato e polmone”. Quindi il Foà, aggiungendo una negazione, ha capovolto i risultati emersi dall’indagine originale. Di questa gravissima scorrettezza è stata data comunicazione al British Medical Journal con una lettera firmata da numerosi ricercatori e scienziati di levatura internazionale, nonché comunicazione alla stampa. Desta sgomento scoprire che questi lavori “scientifici” sono quelli su cui varie Amministrazioni Pubbliche in Italia fondano la propria scelta di incenerire i rifiuti, senza alcuna attenzione verso le tante alternative esistenti ed immediatamente percorribili e con una drammatica sottostima per le ricadute sulla salute pubblica. Una informazione scientificamente corretta ed indipendente rappresenta uno dei principali doveri dello scienziato, in particolare di chi è deputato a tutelare la Salute Pubblica, ed è uno dei fondamenti della democrazia come Lorenzo Tomatis con queste parole, più attuali che mai, ci rammenta “adottare il principio di precauzione e quello di responsabilità significa anche accettare il dovere di informare, impedire l’ occultamento di informazioni su possibili rischi, evitare che si consideri l’intera specie umana come un insieme di cavie sulle quali sperimentare tutto quanto è in grado di inventare il progresso tecnologico [……… ]”. Purtroppo la Storia ci insegna che quando la “scienza” si è messa al servizio dei poteri forti ne sono derivati guai per tutti: le lezioni del passato sono molte, ma, sembra, ancora non sufficienti[62].
Conclusioni
La letteratura scientifica non sgrava gli inceneritori – anche quelli di “recente generazione” – dal dubbio che tali impianti possano avere effetti anche gravi, sulla salute delle popolazioni che vivono intorno ad essi. Del resto la produzione e lo smaltimento dei rifiuti richiedono una strategia globale, che inizia dallo stile di vita delle famiglie, dalla riduzione della loro produzione fino alla incentivazione della raccolta differenziata finalizzata al recupero di materia. All’interno di questa strategia globale l’incenerimento diventa uno strumento superfluo, che può anzi ostacolare l’attivazione e la realizzazione di una corretta filiera di gestione dei materiali post-consumo, come si dimostra in molte realtà del nostro paese in cui la produzione di rifiuti pro capite è cresciuta di pari passo col potenziamento degli impianti. Le conseguenze gravi ed evitabili dell’incenerimento di rifiuti sulla salute hanno attivato un vasto movimento di opinione fra cittadini, associazioni ambientalisti, comitati in tutta Europa, ma in particolare in Italia ove, per una serie di illeciti contributi la combustione di qualunque materiale è incentivata con i denari dei contribuenti: questo meccanismo è stato descritto in modo esemplare dall’ing. Paolo Rabitti, consulente per la Procura di Napoli, nel suo libro “Ecoballe”[63] in cui si dimostra come, paradossalmente, nel nostro Paese, anche a “bruciare acqua ci si guadagni”, calpestando non solo le leggi della fisica e della termodinamica, ma anche il più elementare buon senso. Purtroppo questi assurdi incentivi alla combustione sono stati anche di recente riconfermati[64] tutto ciò rappresenta un immenso business per chi gestisce rifiuti, con intrecci economico/finanziari lucidamente messi in evidenza, specie per quanto riguarda la situazione campana, con un articolo comparso sul Ponte[65] (da cui si evince come l’emergenza campana rappresenti potenzialmente il paradigma per tutto il Paese. L’attenzione è ancor più viva oggi, dal momento che secondo Autori di rilievo internazionale[66] la combustione di una tonnellata di rifiuti, in termini di danni alla salute ed all’ambiente arriva a costare 21.2 euro. Questi costi per ogni tonnellata di rifiuti bruciati possono scendere fino a 4.5 euro se compensati con il recupero di energia (in impianti ad altissima efficienza), calore e materiali. Tuttavia il costo per la collettività, in termini di mortalità e morbilità, rimane comunque invariato. I medici stanno facendo la loro parte, facendo sentire con forza la propria voce: in Italia si registra la sottoscrizione di lettere e documenti da parte di medici indipendenti fra cui Lorenzo Tomatis[67]; la richiesta di moratoria indirizzata dal Dr. Giancarlo Pizza, Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici dell’Emilia Romagna, a tutti i Sindaci, Presidenti di Provincia e Regione Emilia Romagna nel 2007, dopo la pubblicazione dei dati di Coriano (si ricorda che in Francia analoga iniziativa è stata assunta dalla Federazione dei Medici a livello nazionale); la Posizione della FNOMCeO[68]; una recente monografia dell’ISDE (International Society Doctors for Environment), un corposo testo di 280 pagine in cui vengono affrontati tutti gli aspetti (legislativi, ambientali, sanitari, ecc) connessi con la gestione dei rifiuti. Questo volume è l’espressione dell’impegno totalmente gratuito di medici e ricercatori che hanno voluto mettere a disposizione delle Istituzioni, dei decisori politici e dei cittadini informazioni aggiornate, scientificamente corrette e soprattutto scevre da qualsivoglia conflitto di interesse[69]. Anche in altri Paesi d’Europa una decisa presa di posizione di Medici e Società Scientifiche non si è fatta attendere: particolarmente dettagliato ed esauriente il Rapporto dei Medici Francesi[70], quello della Società di Medicina Ecologica Britannica[71], dell’ISDE internazionale[72]. Solo poche settimane fa, il 5 novembre 2009, l’oncologo francese Dominique Belpomme, Presidente della Associazione per la Ricerca e Terapia del cancro in Francia, ha dichiarato, a proposito dell’inceneritore di Parigi, che l’incenerimento è un “vero scandalo sanitario”. Pertanto, in ottemperanza all’articolo 5 del nostro Codice Deontologico ed avendo ben presente quanto sancito nell’ art. 32 della nostra Costituzione, vi abbiamo inviato questa relazione perché mai un domani nessuno possa rimproveraci: “se i medici sapevano perché hanno taciuto?”.
Dr. Roberto Romizi Presidente ISDE Italia
Prof. Angelo Gino Levis Già Ordinario di Citogenetica e Mutagenesi Ambientale, Padova Prof Antonio Faggioli Libero Docente di Igiene, Bologna
Dr. Giuseppe Miserotti Presidente Ordine dei Medici, Piacenza
Dr.Ruggero Ridolfi Oncologo, Endocrinologo, Forlì
Dr.Valerio Gennaro Oncologo, Epidemiologo Genova
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