Iva e tassa sui rifiuti. Attorno a queste due imposte, maldigerite da molti italiani, rischia di iniziare una lunga battaglia giudiziaria tra i contribuenti e il fisco, con una sfilza di richieste di rimborso dei tributi già pagati, per un valore complessivo di circa 1 miliardo di euro.
LA MATERIA DEL CONTENDERE.
Tutto ruota attorno a una sentenza della Corte di cassazione della primavera scorsa, che ha stabilito un principio inderogabile: il prelievo fiscale sui rifiuti solidi urbani non è una tariffa (al pari di quelle che gravano sui consumi elettrici o del gas) bensì una tassa e, in quanto tale, non può essere assoggetta all'iva , come è sempre avvenuto da circa 10 anni a questa parte. A ben guardare, la decisione della Cassazione non riguarda tutte le tasse sui rifiuti applicate in Italia ma soltanto la Tia1 (la tariffa di igiene ambientale istituita nel 1997 e applicata da alcuni Comuni). Sono invece esclusela Tarsu (la tassa sui rifiuti solidi urbani che non è soggetta all'iva) e la Tia2 (un'altra tariffa in vigore dal 2006, che è soggetta all'iva ma non è stata presa ancora in considerazione dalla giurisprudenza).
CHI HA DIRITTO AI RIMBORSI.
Per i giudici della Cassazione, dunque, l'iva sulla Tia1 è illegittima e chi l'ha pagata avrebbe diritto, almeno in teoria, a farsela rimborsare. Per verificare se il proprio Comune applica questa imposta (invece della Tarsu o della Tia2) bisogna controllare i documenti di pagamento inviati dall'amministrazione municipale, per vedere se vi è un riferimento esplicito alla norma che ha istituito la Tia1 (cioè il decreto legislativo numero 22 del 1997). In caso affermativo, si può tentare la strada di un contenzioso con l'amministrazione fiscale, che purtroppo non sarà facile.
PICCOLE CIFRE.
Va infatti ricordato però che l'Iva sui rifiuti, per quanto sia un imposta antipatica, ha un importo abbastanza limitato: il 10% circa sulla somma netta da pagare, che corrisponde a un esborso medio complessivo per i contribuenti compreso tra 70 e 150 euro nell'arco di 10 anni, secondo le stime dell'associazione Altroconsumo. Rivolgersi a un avvocato e tentare un contenzioso giudiziario per somme così ridotte, dunque, rischia di rivelarsi una perdita di tempo e di denaro.
STRADE ALTERNATIVE.
Per questo, Altroconsumo consiglia di battere una strada alternativa. Attraverso il proprio sito, l'associazione invita i contribuenti a firmare una petizione online , per far approvare dal governo un breve articolo di legge con cui venga annullata, una volta per tutte, l'applicazione dell'Iva sulla Tia1 (che oggi continua a essere applicata). Nello stesso articolo di legge, secondo Altroconsumo, dovrebbero essere stabiliti anche i modi e i criteri per la restituzione delle le somme pagate indebitamente (per esempio con dei rimborsi da richiedere con la presentazione della dichiarazione dei redditi).
LA LINEA DURA.
Più intransigente è invece la posizione di altre associazioni come Contribuenti.it che, attraverso il proprio sito, invita a compilare un modulo per la richiesta di rimborso dell'iva all'amministrazione finanziaria (il modello Unico Irt 2012 ). Gli esperti dell'associazione, offrono anche un servizio di consulenza sulle procedure da svolgere, purché il diretto interessato sia disposto a pagare la quota annua di iscrizione a Contribuenti.it, che costa 50 euro. I potenziali rimborsi a carico della pubblica amministrazione, secondo i calcoli di Contribuenti,.it sono un po' più alti di quelli stimati da Altroconsumo: in media 520 euro per le famiglie e oltre 4mila euro per le imprese. Se la richiesta verrà rifiutata dall'amministrazione fiscale, si aprirà ovviamente la strada al contenzioso giudiziario.
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