Fraternité?
La gendarmeria che respinge i migranti e che ne riporta un migliaio al confine italiano dopo averli bloccati a Nizza costituisce uno schiaffo all’Europa da parte di uno dei paesi fondatori e rappresenta una Francia oscurantista, plumbea, fuori registro che non ricordavamo dai tempi di Vichy. È vero che nel paese più multirazziale del continente ormai le elezioni si vincono e si perdono attorno alla parola securité, sicurezza intesa come attenzione alla roba nel senso dato da Giovanni Verga. Ma è altrettanto vero che la Francia non può buttare a mare i suoi doveri con la leggerezza di un governo canaglia anche perché ha una responsabilità storica: il grande esodo nordafricano ha come epicentro la Libia, destabilizzata, annientata da una guerra fortemente voluta e combattuta in modo sgangherato proprio dai francesi guidati da Sarkozy in versione Louis de Funés.
Adesso che bisogna gestire le conseguenze, loro che fanno, si chiudono nei villages fleuries e spalmano il camémbert sulle tartine? Pessima figura, indegna di ciò che rappresenta il paese dei Lumi. A qualcuno la lunga e profonda crisi ha prosciugato il portafoglio, a qualcun altro ha prosciugato l’anima. <E noi dovremmo rimanere dentro un’Europa - si chiede Grillo con tempismo elettorale - che ha come unica risposta ai problemi quella di chiudere le porte come nel Medioevo e alzare i ponti levatoi?>. Ineccepibile. Quei migranti col cartello «Non siamo bestie», mentre la Francia violenta la propria storia, sono il simbolo di un enorme fallimento.
Giorgio Gandola - l'Eco di Bergamo
Leggo questa ruflessione di Luca Sofri su POST e avendola trovata interessante e pertinente ve la propongo.
RispondiEliminaPerché non li prendi a casa tua, questi profughi?
La domanda è diventata un riflesso condizionato di alcuni, quando si parla di lavorare per accogliere civilmente gli immigrati: è una domanda retorica, serve a chi la fa per deviare da sé la consapevolezza di essere quelli che se ne fregano, serve come equivalente dell’uso del termine “buonismo”, serve per darsi di gomito e pensare di avere detto una cosa furbissima, serve a cambiare discorso quando qualcuno fa delle proposte o delle analisi sulla questione dell’immigrazione, serve come quando litigando da bambini si dice “specchio riflesso” o “chi lo dice lo dice per sé”: è la battuta della disperazione.
Perché non li prendi a casa tua, questi profughi?
Di solito non si risponde. Per fastidio nei confronti della sciocchezza aggressiva di chi fa la domanda, per rispetto di se stessi, per imbarazzo verso qualcuno che presume con ignoranza e spocchia che tu non abbia mai accolto a casa tua immigrati o profughi, per senso di avere cose più serie di cui occuparsi, perché chi ha fatto la domanda di solito neanche la vuole, una risposta: vuole solo sentirsi molto furbo e guardarsi intorno fiero con l’aria di “hai visto che j’ho detto?”. È in malafede, vuole solo mentire a se stesso trovando un modo di assolversi dalla propria indifferenza o egoismo: è inutile rispondere a chi è in malafede.
Di solito non si risponde, saggiamente.
Perché non li prendi a casa tua, questi profughi?
Ma ieri un ragazzo molto giovane che aveva sentito fare questa domanda mi ha chiesto, sinceramente, “come si risponde, a questa domanda? Io lo vedo che è una domanda cretina: ma come si risponde?”
Perché non li prendi a casa tua, questi profughi?
Non li prendo a casa mia perché sarei un incosciente presuntuoso a pensare che il problema di ciascuna di queste persone lo possa risolvere io in casa mia. Non li prendo a casa mia perché per queste persone serve altro e meglio di quello che so fare io, servono pratiche e organizzazioni che sappiano affrontare le necessità di salute, prosecuzione del viaggio, integrazione, lavoro, ricerca di soluzioni. Non li prendo a casa mia perché voglio fare cose più efficaci, voglio pagare le tasse e che le mie tasse siano usate per permettere che queste cose siano fatte bene e professionalmente dal mio Stato, e voglio anche aiutare e finanziare personalmente le strutture e associazioni che lo fanno e lo sanno fare. Non li prendo a casa mia perché quando c’è stato un terremoto e le persone sono rimaste senza casa non ho pensato che la soluzione fosse prenderle a casa mia, ma ho preteso che lo Stato con i miei soldi creasse centri di accoglienza e strutture adeguate, le proteggesse e curasse e aiutasse a ricostruire loro una casa. Non li prendo a casa mia perché se incontro una persona ferita o malata, chiamo un’ambulanza, non la porto a casa mia.
Non li prendo a casa mia perché i problemi richiedono soluzioni adeguate ai problemi, non battute polemiche, code di paglia e sorrisetti autocompiaciuti: non stiamo litigando tra bambini a scuola, stiamo parlando di problemi grossi e seri, da persone adulte.
E tra l’altro, possono rispondere in molti, qualche volta li prendo a casa mia.
Risposto. Passiamo a domande migliori, va’.