In occasione della ricorrenza del 25 Aprile, vorremmo proporre ai nostri lettori la sintesi dell'intervento che ha visto Salvatore Borsellino protagonista dell’iniziativa "Un' isola di legalità" promossa dalla Comunità dell'isola bergamasca per testimoniare quanto è importante vivere e combattere per
far trionfare la LEGALITA’, senza la quale non esisterebbe la DEMOCRAZIA e, con essa, la LIBERTA'.
«La speranza di Paolo siete
voi giovani, lui spera che con un completo ricambio generazionale si possa
sentire quel fresco profumo di libertà per cui ha sacrificato la sua vita», con
queste parole Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, magistrato ucciso dalla
mafia il 19 luglio 1992, ha salutato i ragazzi delle scuole
medie che hanno partecipato all' iniziativa "Un'Isola di legalità.
Nel
palatenda di Sotto il Monte ha risuonato
potente la voce di un uomo che sta portando per l’Italia la denuncia di quella
che ha definito “strage di Stato”, che è costata la vita a Giovanni Falcone e
soltanto 57 giorni dopo a Paolo Borsellino.
Salvatore Borsellino |
«Sono
qui per cercare qualcosa da voi, la speranza, che Paolo non ha mai perso sino all'ultimo giorno della sua vita. Anagraficamente sono suo fratello, ma non
posso considerarmi davvero ‘fratello’, perché abbiamo fatto scelte diverse.
Spesso chiamiamo fratelli quegli amici con cui condividiamo sogni e speranze,
il vero fratello di Paolo è Giovanni». Così inizia il lungo racconto, denso di
aneddoti, nomi, particolari di quegli anni. Si materializzano dalla bocca di
Borsellino, la figura di padre Puglisi, che cercava di togliere i ragazzi dalla
“spirale perversa” per offrire loro un’alternativa di vita. Risuona, nelle
parole di Salvatore, anche il pensiero di Rita Atria, testimone di giustizia a
soli 17 anni, che chiamava zio Paolo il giudice Borsellino, morta suicida pochi
giorni dopo il suo assassinio.
«Lei scrisse
nel suo diario, che per sconfiggere la mafia, dobbiamo sconfiggere quel poco di
mentalità mafiosa, che c’è in ognuno di noi – ha detto Borsellino – cosa fate
quando vedete angherie su un vostro
compagno?
L’espressione
di una mentalità mafiosa è anche la prepotenza, va combattuta sin dalla scuola.
La vera lotta alla mafia comincia nelle scuole, per sconfiggerla servono un
esercito di maestri e professori, la vera lotta alla mafia è quella che fate
qui oggi».
Borsellino cita una delle frasi più note di suo
fratello: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta
sola».
La
paura, incalza Borsellino, è ciò contro cui lottavano i due giudici fratelli.
«Un magistrato è un servitore dello Stato, non dovrebbe rischiare la sua vita
per questo. Se ciò accade, è perché c’è qualcosa che non va – ha affermato –
Paolo e Giovanni rispondevano di avere paura, ma che per vincerla c’era il
coraggio.
Chi
non si fa condizionare nelle proprie azioni dalla paura, allora vive con la
schiena dritta».
Salvatore Borsellino spiega anche perché il fratello
Paolo ha scelto di fare il magistrato a Palermo, con una frase detta dallo
stesso giudice. «Palermo non mi piaceva, per questo ho
imparato ad amarla. Perchè il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci
piace, per poterlo cambiare»,
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
Indica
con la voce ferma e gli occhi azzurri, il fratello che non si sente fratello,
la strada da percorrere, secondo Paolo Borsellino per la lotta alla mafia è
necessario «un movimento culturale e morale che coinvolga tutti e specialmente
le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco
profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale,
dell’indifferenza».
Prosegue, intenso, Borsellino: «La scelta di Paolo è stata quella di restare, per amore,
nella sua città, a combattere quel tumore, nato nelle regioni del Sud, ma da
cui oggi nessuna regione è immune. La mafia ha una grande capacità di eroderci,
per gestire i suoi interessi criminali».
La
metamorfosi contemporanea del più grande cancro italiano è stata ancora
illustrata da Borsellino: «La mafia non è più quella della coppola e
della lupara. Riesce ad accumulare capitali tali, che equivalgono il prodotto
interno lordo degli stati, per questo l’economia criminale, può condizionare
quella pulita».
Cita la
“prima strage di Stato” di Portella della Ginestra, l’eccidio di lavoratori del
1947 a cui prese parte
Salvatore Giuliano. «Il controllo del territorio in Sicilia è stato abbandonato
dallo Stato a favore della
criminalità organizzata, perché servisse da serbatoio di voti, per poter
governare il resto del paese –
afferma con voce decisa – la politica ha preso voti dalla mafia ed ha dovuto
restituire favori».
Il
tumore che diventa metastasi, Borsellino parla di Mafia capitale ed Expo,
ricorda Carlo Alberto Dalla Chiesa, «lasciato solo a combattere la mafia»,
ucciso cento giorni dopo il suo arrivo a Palermo, così come accaduto a Falcone
e Borsellino. «Lasciando soli questi uomini, lo Stato ferma la lotta alla
mafia, se tutte le istituzioni dello Stato lottassero insieme, la mafia non
potrebbe aggredire pezzi dello Stato. La politica con la mafia si mette
d’accordo», incalza ancora. Muore Falcone ed il fratello lontano, che vive a
Milano da decenni, sa che presto toccherà a Paolo. «Lui sino all’ultimo giorno
della sua vita ha cercato di arrivare agli assassini di Giovanni, diceva ‘devo
fare in fretta’. Sapeva di essere condannato, non faceva più le coccole ai
figli, perché così sperava sentissero meno la sua mancanza, quando l’avrebbero
ucciso» dipinge ancora quei momenti come se stesse confidandosi con un amico.
Il
racconto si perde nei dettagli dei resti straziati dal tritolo, il sangue a
terra, pezzi di corpi ricomposti, il mistero dell’agenda rossa del giudice
Borsellino fatta sparire per sempre da un anonimo ufficiale dei carabinieri,
dalla borsa del magistrato rimasta intatta, «Paolo non la lasciava mai, ci
scriveva ciò che aveva scoperto, della trattativa tra la mafia e lo Stato per
arrivare ad un armistizio».
Da allora l’impegno della famiglia Borsellino, per
volontà della madre, è stato quello di chiedere giustizia e verità, che
ancora non sono mai arrivate, per questo è nato il movimento “Agenda Rossa”, di
lotta per la verità e la giustizia sulla strage di via D’Amelio. Tre processi
non sono bastati a definire un quadro completo di quanto accaduto, i finti
pentiti per depistare, alle ultime battute Borsellino scandisce i nomi dei
“cinque martiri”, che cessarono di vivere in via D’Amelio insieme al fratello.
Ai genitori di Emanuela Loi, fu inviata anche la fattura per il trasporto della
salma della loro figlia in Sardegna, ricorda Borsellino, aggiungendo anche i
nomi di Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio
Traina. Scampato Antonino Vullo, l’autista, grazie alla macchina blindata. Oggi in
via D’Amelio c’è un ulivo a ricordarli, insieme alla lapide con i loro nomi, le
cui iniziali formano la parola pace. «L’indifferenza è ancora più grave della
stessa criminalità mafiosa, la gente subito reagisce, e poi, poco a poco, dimentica.
Sono venuto da voi a prendere la speranza che in questo paese le cose possano
cambiare», si chiude così il suo discorso, tra gli applausi dei ragazzi, il
grazie del sindaco di Sotto il Monte e degli insegnanti.
Veramente toccante.
RispondiEliminaChissà se qualche amministratore di Villa d'Adda,sindaco,assessori più o meno onesti e corretti,hanno partecipato?
EliminaSarebbe molto interessante sentire il loro parere ed i loro propositi per il futuro dopo aver ascoltato le parole del fratello di Borsellino.
Ad ogni modo,credo che dovrebbero leggersi questo articolo è meditare,meditare,meditare....